sabato 20 settembre 2014

dal successo "Credevo fosse un'amica e invece era una stronza" Piccole stronzamiche crescono



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6.

Piccole stronze crescono74

 


Passano gli anni, cambiano le mode, le acconciature, solo una cosa non cambia mai: le stronzamiche. Ci potremmo fare una puntata intera di Quark sull’evoluzione della specie, adesso non si chiamano solo "stronze", si chiamano pure "bulle", ma il risultato è lo stesso, come anche il prototipo della vittima prescelta.

Escono in branco, camminano allo stesso modo, inclinando la testa dalla stessa parte, usano lo stesso linguaggio, gli stessi vestiti, ma attenzione perché ci sarà sempre e solo un’ape regina (non avrete altra capa all’infuori di lei) che comanderà su tutte. Sarà lei a decidere vita, morte e miracoli delle compagne. Fuori dalla scuola si riconoscono al volo, stessa andatura, stesso sguardo, matita nera sugli occhi – a dodici anni dico dodici – e una schiera di maschietti con gli ormoni a palla al seguito. In classe avranno già separato il gruppo dei fichi da quello degli sfigati: quelli cool durante la ricreazione escono e vanno a fare le "vasche" nei corridoi della scuola, gli sfigati rimangono all’interno della classe perché tanto dove devono andare?
 

Ecco, io alle medie ambivo a essere una stronza bulla, ma con alle spalle dei genitori professori sessantottini mi veniva difficile. Più mi crescevano a "non importa quello che hai ma quello che sei" più io ambivo ad avere determinati vestiti e, naturalmente, di chi mi ero andata a invaghire? Del più fico della scuola. Perché? Perché "Io valgo" e, nonostante le perculatio, la mia autostima arrivava dove non poteva la notorietà.

Ci ho pure provato a uscire durante la ricreazione ma se non nasci figa già con l’andatura di Belen e la sua farfalla stampata in testa, il rischio era quello di vedere uno stecco secco (ero talmente magra da essermi meritata vari soprannomi, che se me li dicessero oggi apprezzerei parecchio) prima ondeggiare (ero alta 1 e 75 per 49 chili... bei tempi!), poi mettersi a correre per tutti i corridoi insieme ai maschi, con la grazia di un camionista (non perché abbia qualcosa contro la categoria sia chiaro, ma diciamo che non rappresentano, almeno nell’immaginario comune, il massimo dell’eleganza, ecco), perché un pochino va bene, ma poi come cappero si fa a camminare senza fare nulla per quindici minuti in un corridoio? Eh no, non si fa così. Le fighe non corrono, sfilano; le stronze non ridono, sfottono con le mani davanti alla bocca, poi alzano la testa ti squadrano un attimo, e puff tu sei finita, segnalata a vita, ti imprimono il marchio, 75


e tu, per tutta la durata della scuola, non riuscirai a togliertelo.

Mi ricordo che alle medie avevo due migliori amiche, e già il numero non depone a mio favore, lo so, con una di queste ci scambiavamo il fidanzatino, una settimana a testa, non pensate male, era lui che ci combinava così, e a ripensarci adesso, io ero proprio come Carrie con Big (ma dimenticatevi le sue mise, io ero più stile Pippi Calzelunghe... e già vi ho detto tutto). Avete presente quando lui per l’ennesima volta la lascia e si sposa la figa lessa? Uguale. Io ero la ribelle, la mia amica naturalmente la gattamorta, più brutta di me, ma mooolto più furba, aveva fatto suo il detto "in amor vince chi fugge", e quindi si lasciava desiderare.

Io, al contrario, avevo coniato il detto "lui mi ama ma non riesce a dirmelo e mi dà le botte a ricreazione come segno d’affetto", quando in realtà quello che mi sarebbe calzato a pennello era "la verità è che non gli piaci abbastanza". E così, con lei era tutto coccole e moine, con me botte da orbi, che io interpretavo come segno di passione... furba, eh? Il finale è stato abbastanza scontato: le due mie migliori stronzamiche hanno scelto di frequentare lo stesso istituto dopo la scuola media, io ho scelto il liceo, che si trovava pure in un altro paese, quindi addio: lontana dagli occhi lontana dal cuore, e la nostra grande "amicizia" è finita così.

Ma a quel punto, alla mia stronzamica il tipo tanto conteso non è più interessato perché non c’era gusto ad averlo così senza soffiarlo a nessuna.76

Io, invece, per un altro anno ho lavorato di sguardi, avete presente Benigni e Troisi in Non ci resta che piangere quando si trovano in chiesa a corteggiare le donne, ma non possono parlare, e quindi devono fare tutto con gli occhi, e Benigni dice a Troisi: "Fagli capì che hai capito" e Troisi risponde: "Ho capito, ho capitoooo". Ecco, uguale.

Per circa 280 giorni, facendo lo stesso percorso io dalla stazione, lui dall’istituto e incrociandoci sempre nello stesso punto, lo guardavo fisso: avrà pensato pure che c’avessi una paresi facciale, ma nulla, non ci fu verso ’un capì o forse fece finta di non capire e la mia prima cotta si concluse prima ancora di aver avuto qualsiasi tipo di sviluppo.

Irene Vella

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